Di Andrea Persi
16 e 22. No non è un ambo sicuro sulla ruota di Bari e nemmeno una coppia di numeri che, come quelli dell’equazione di Valenzetti di Lost (che poi non è un’equazione ma una successione numerica), predicono sfighe globali. Più banalmente è il numero di anni che i fan di Guerre Stellari hanno dovuto attendere, rispettivamente, per vedere sul grande schermo gli antefatti della trilogia classica con quella prodotta e diretta da George Lucas e poi il seguito della storia con quella targata Disney. Ma in un mondo in cui la vita corre veloce come la banda larga in rete, anche le saghe cambiano e la casa di Topolino, guidata dalla Lady di Ferro Kathleen Kennedy è ormai avviata verso la produzione di un film l’anno, alternando spin off e sequel, con risultati che finora hanno premiato, quanto a qualità, i primi rispetto ai secondi. Pescando, dunque, nel monumentale universo di Star Wars, espanso e non, ecco arrivare la storia sulle origini della canaglia dal cuore d’oro Han Solo, diretta da Ron Howard, per la sceneggiatura di Lawrence Kasdan e di suo figlio Jon, la fotografia di Bradford Young, il montaggio del nostro due volte premio Oscar Pietro Scalia e le musiche di John Powell.
Durante i primi anni del dominio dell’Impero Galattico molti mondi sono in mano a potenti sindacati del crimine tra cui il pianeta Corellia dove vive il ladruncolo Han (Alden Ehrenreich) assieme all’amata Qi’ra (Emily Clarke). Separato dalla ragazza durante la fuga Han, che nel frattempo ha preso il cognome di Solo, cercherà con ogni mezzo di tornare da lei, finendo però coinvolto nei pericolosi traffici dei contrabbandieri Tobias Beckett (Woody Harrelson), Lando Calrissian (Donald Glover) e del boss del crimine Dryden Vos (Paul Bettany), ma stringendo una singolare quanto sincera amicizia con lo Wookie Chewbecca (Joonas Suotamo).
Per raccontare la genesi, che possiamo collocare tra La vendetta dei Sith e Rogue One, di uno dei personaggi simbolo della saga, Howard sceglie di esplorare il mondo quasi sconosciuto nei film, ma che tanta linfa ha offerto all’universo espanso, della malavita intergalattica, in una pellicola dove dominano doppiogioco, azione e picarismo, ma che nelle oltre due ore di durata si snoda in scene e situazioni dall’esito sin troppo prevedibile e scontato. Certamente da fan si apprezza il modo in cui il regista di Apollo 13 spiega, con tanto di “mostrone” alla Cloverfield, lo storico blooper su come la mitica rotta di Kessel possa essere percorsa in 12 parsec (che è come dire che impiego 50 metri per andare dal lattaio sotto casa), si prova simpatia per il cameo di Warwick Davis, storico interprete dell’Ewok Wickett ne Il ritorno dello Jedi e protagonista del fantasy sempre di Ron Howard Willow (del quale si “rumoreggia” un sequel) e, infine, emozione per il colpo di scena finale con cui la pellicola viene collegata alla trilogia prequel, al prossimo film su Obi Wan Kenobi e ai prodotti televisivi animati, Rebels e Star Wars – The Clone Wars, ma oltre a questo c’è ben poco per rendere il film appena più che discreto tra droidi con smanie sociali più antipatici di Jar Jar Binks e un cast che non si schioda, escluso il sinistro Bettany, dalla sufficienza e in cui i tentativi del protagonista Ehrenreich si imitare Harrison Ford si risolvono nel farlo sembrare un tizio affetto da mal di denti con sporadici momenti di paresi facciale.
Il film, nettamente inferiore a Rogue One, ma sicuramente superiore ai demenziali Episodi VII e VIII segna, comunque, un momento di svolta: i riferimenti ad altri prodotti del franchise e il finale aperto, danno proprio l’impressione che la rotta presa dalla Disney sia quella di una “marvelizzazione” di Star Wars con film che oltre a essere prodotti in serie si connettono tra di loro.
Sarà un bene? Solo la Forza (e il botteghino) potranno dircelo.