Per trascorrere il prossimo halloween, cosa fare di meglio che riscoprire una serie di pellicole capaci di attraversare come una lama tutte le sfumature dell’orrido?

Da dove partire? Sicuramente da “Il mulino delle donne di pietra”, l’unico film horror di Giorgio Ferroni del 1960, poi noto per i peplum, e rappresenta un perfetto punto d’incontro tra la fantascienza ed il gotico, una simbiosi difficile da conseguire. Terrificante e sublime, è il primo film horror italiano realizzato a colori. Hans Von Arnim (Pierre Brice), giovane studioso di arte popolare fiamminga, incontra un bizzarro scultore di nome Gregorius Whal (Herbert A.E. Böhme) capace di trasformare i meccanismi di un vecchio mulino in uno straordinario carillon popolato da statue di personaggi storici femminili dai volti realistici. Quando, senza una spiegazione, riappare Helfy (Scilla Gabel), la figlia morta dello scultore, Hans inzia a porsi qualche domanda…

L’orrore si fa cosmico in “Le vergini di Dunwich”, film del 1970, diretto da Daniel Haller e con Roger Corman come produttore esecutivo. E’ chiaramente tratto dal racconto L’orrore di Dunwich di H.P. Lovecraft: l’ultimo membro di una famiglia che da sempre prova a riportare sulla terra gli antichi, Wilbur Whateley (Dean Stockwell), seduce Nancy (Sandra Dee), alieva del professor Armitage (Ed Begley), e ruba il Necronomicon dall’Università di Miskatonic per conseguire con successo risvegliare le divinità. Si caratterizza per alcuni flash psichedelici che accrescono l’inquietudine della trama. Non delude.

Del maestro dell’horror italiano, Lucio Fulci, consigliamo due pellicole giallistiche. “Sette note in nero” è del 1977. Qui i cambi di ritmo del racconto, il montaggio, la suspense, le scene finali strazianti sono i punti di forza di questo film che lascia precipitare lo spettatore in un’angoscia allucinata. Fin dall’infanzia Virginia Ducci percepisce premonizioni per eventi importanti della sua vita. Qualcosa gli dice che in uno dei muri della casa di suo marito si nasconde un cadavere e con l’aiuto di uno specialista del paranormale lo trova… Altra pellicola di Fulci è “Il Gatto Nero”, un lavoro del 1981 in cui si richiama vagamente il racconto omonimo di Edgar Allan Poe. Anche qui il regista mette da parte l’aspetto splatter che caratterizza il suo cinema, in favore della costruzione e della valorizzazione dell’elemento psicologico, costruendo un eccellente thriller. Inseguiamo la comparsa di un gatto nero in più punti di una cittadina inglese, accompagnata da curiosi incidenti, da raccapriccianti morti e dal rinvenimento di cadaveri. Ancora una volta è coinvolto un medium…

Per restare in Italia va assolutamente riscoperto “I tre volti della paura” di Mario Bava, film del 1963 che conserva intatta la sua forza. In Inghilterra uscì col titolo “Black Sabbath” ed ispirò un gruppetto di ragazzi che avrebbe cambiato la storia del rock… Tre episodi distinti trascinano lo spettatore in tre diversi concetti di paura. Sorprendete il primo episodio ispirato ad un racconto di F.G. Snyder. Una donna è ripetutamente chiamata a telefono da un uomo che lei immagina sia il suo ex-fidanzato appena evaso dal carcere in cui era stato rinchiuso grazie alle sue denunce. Chiede l’aiuto di un’amica, la quale però poi si rivela il vero maniaco. Il finale è imperdibile. Nel secondo episodio, ispirato ad un racconto di Tolstoji, si rielabora il tema del vampirismo in maniera nient’altro scontata. Il terzo episodio, tratto da un’opera di Cechov, è legato alle suggestioni conseguenti alla morte di una medium… Si passa quindi dalle ossessioni e dalla tensione del thriller al fantastico incarnato dall’icona del gotico Boris Karloff, per finire col terrore ultraterreno, forse nell’episodio più inquietante.

L’orrore si fa grottesco in “La morte va a braccetto con le vergini”, film della Hammer del 1971, diretto da Peter Sasdy e ispirato alle vicende della contessa Bathory. E’ un horror in costume ambientato in Ungheria che si fa forza di sfumature erotiche molto forti per quegli anni. Conosceremo un tenente che eredita le scuderie di un nobile defunto, finendo al centro delle bramosie dell’anziana vedova, Elisabeth Nadasdy, la quale ringiovanisce bagnandosi nel sangue delle vergini. L’interprete è la bellissima Ingrid Pitt.

Chiudiamo questa carrellata di consigli con una vera perla: “Dove comincia la notte”. Fu realizzato nel 1991 da Maurizio Zaccaro con la sceneggiatura di Pupi Avati. E’ un’intelligente riproposizione dell’ambiente classico del gotico (la grande casa da ricchi con scricchiolii, finestre, porte, rumori insoliti…) e dei topos delle ghost story. La trama è solida e dai risvolti drammatici. Istigato dalla madre divorziata, Irving Crosley (Tom Gallop) ritorna nella sua città natale per vendere la casa del defunto padre, così da risarcire la famiglia di un’adolescente suicidatasi quando s’era venuto a sapere della sua relazione con l’uomo, scopre però che la casa ha molto da dirgli. La sua mente viene via via sopraffatta dall’affiorare dalla rielaborazione di un passato personale orribile, ma che in quella casa è ancora nel tempo presente. E così comincia la notte.
E’ un lenta introspezione, una storia psicologica e priva di sangue, che porta lo spettatore a mettere in discussione la realtà razionale ed a scoprire l’identità del protagonista solo nell’ultima scena. Zaccardo fu premiato con un David di Donatello come miglior regista esordiente e il film riscosse un buon successo di pubblico.


Angelo D’Ambra

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Angelo D'Ambra, saggista, laureato in Scienze Politiche, anima il portale di divulgazione storica historiaregni.it, scrive di storia nordamericana per farwest.it e si occupa di critica cinematografica e musicale per planetcountry.it e passionecinema.it.

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